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Un giorno, a met del ventesimo secolo, ero seduta in un vecchio camposanto non ancora demolito nel quartiere di Kensington, quando da un vialetto laterale sbuc un giovane poliziotto. Mi venne incontro sullerba timido e sorridente, come per invitarmi a una partita a tennis. In realt voleva solo sapere che cosa stessi facendo, ma era chiaro che non gli piaceva far domande. Gli dissi che stavo scrivendo una poesia e gli offrii un tramezzino, che rifiut: aveva appena pranzato. Rimase a chiacchierare con me per un po, dopodich mi salut arrivederci, chiss quanto sono antiche queste tombe, buona fortuna, stato bello parlare con qualcuno.
Fu quello lultimo giorno di tutta una fase della mia vita; ma allora non lo sapevo. Rimasi seduta sulla tomba vittoriana a scrivere la mia poesia finch ci fu sole. Vivevo poco lontano in una stanza con stufa e fornello a gas, che funzionavano infilando nella fessura qualche scellino o penny predecimale, a seconda della disponibilit o della preferenza. Ero di ottimo umore: non avevo un lavoro, ma questo fatto, che considerato a mente fredda avrebbe dovuto essere motivo di depressione, in realt non lo era. Come non lo era la rozzezza del mio padrone di casa, un certo signor Alexander, un bassetto. Ero riluttante a tornare a casa, per paura che mi aspettasse al varco. Non ero in arretrato con laffitto, ma lui continuava a insistere perch mi spostassi in una stanza pi grande e costosa, perch la mia, piccolissima, era ormai stipata di libri, carte, scatole e valigie, provviste alimentari e scorie di vario genere lasciate dai miei frequenti ospiti pomeridiani o notturni.
Fin l avevo contestato con vigore la tesi del padrone di casa, e cio che in pratica facevo una vita da camera doppia al prezzo di una singola. Allo stesso tempo ero affascinata dalla sua rozzezza. Sua moglie invece non si impicciava delle pigioni, perch non voleva essere scambiata per unaffittacamere. Era alta, con i capelli neri lucenti, sempre freschi di parrucchiere, e le unghie laccate di rosso. Entrava e usciva di casa con un cortese cenno di saluto, come fosse anche lei uninquilina, ma di rango superiore. Sorridevo con identica cortesia, e intanto dentro di me la mangiavo con gli occhi. Non avevo niente contro gli Alexander, se non che insistevano tanto per farmi prendere una stanza pi cara. Non me la sarei presa con loro nemmeno se il marito mi avesse buttata fuori; ne sarei stata comunque affascinata. In un certo senso mi sembrava che labominevole Alexander fosse davvero eccezionale nel suo genere. Anche se preferivo stargli alla larga, sapevo benissimo che da uno scontro, qualora fosse avvenuto, avevo tutto da guadagnare. Mi rendevo conto che cera un demone in me che gioiva nel vedere le persone per quello che erano, e sempre di pi, sempre di pi.
In quel periodo avevo degli amici meravigliosi, pieni di qualit, e anche di magagne. Ero quasi senza un soldo, ma contentissima perch ero appena scampata allAssociazione Autobiografica (senza scopo di lucro), dove mi consideravano matta, se non addirittura malvagia. Vi racconter dellAssociazione Autobiografica.
Dieci mesi prima che mi sedessi a scrivere la mia poesia tra i sepolcri decrepiti di Kensington, quando il poliziotto timido mi aveva interrotto, era arrivata la lettera Cara Fleur.
Cara Fleur. Fleur era il nome che mi era stato perigliosamente conferito alla nascita, quando, come sempre in questi casi, ancora non si sa come diventeremo. Non che fossi particolarmente brutta; ma Fleur non era il nome giusto, e tuttavia era il mio, come i nomi di quelle malinconiche Gioie o quei timidi Vittorii, quelle ingloriose Glorie e materialistiche Angele che siamo destinati a incontrare nel corso di una lunga vita di cambiamenti e infiltrazioni. Una volta ho conosciuto un Lancillotto che, ve lo assicuro, era tuttaltro che un cavaliere.
Comunque sia, la lettera diceva: Cara Fleur, credo di averti trovato un lavoro!.... E continuava, noiosissima. Era unamica premurosa, non mi ricordo neppure che faccia avesse. Perch conservavo lettere del genere? Perch? Eppure sono tutte ordinatamente raggruppate in cartellette legate con un nastro rosa e ordinate per anni: 1949, 1950, 1951 eccetera eccetera. Ho studiato da segretaria; per questo, forse, pensavo che le lettere andassero sempre archiviate, convinta che prima o poi si sarebbero rivelate interessanti. In realt di per s non lo sono molto. Per esempio, sempre verso la prima met del secolo, una libreria mi aveva scritto per chiedermi i soldi che le dovevo; in caso contrario avrebbero fatto i passi necessari. A quei tempi avevo debiti con parecchi librai, alcuni pi clementi di altri. Ricordo che la lettera sui passi necessari mi sembr piuttosto comica, e degna di essere conservata. Credo di aver risposto che ero terrorizzata da quei passi che si facevano sempre pi vicini; o forse no, non scrissi affatto, pensai solo di farlo. Alla fine, evidentemente, saldai il conto, visto che ho ritrovato una ricevuta per 5 sterline, 8 scellini e 9 penny. Avevo una smania per i libri; quasi tutte le mie fatture erano di librai. Possedevo un volume rarissimo che cedetti a unaltra libreria a saldo del mio conto, perch non sono certo una bibliofila; i libri non mi interessavano per la loro rarit, ma per il loro contenuto. Spesso prendevo libri in prestito dalla biblioteca, ma sono sempre andata in libreria, dove, bramosa di possedere, che so, le Poesie complete di Arthur Clough o una nuova edizione di Chaucer, attaccavo discorso col libraio e aprivo un conto.
Cara Fleur, credo di averti trovato un lavoro!.
Scrissi immediatamente allindirizzo del Northumberland, elencando le mie credenziali di segretaria. Nel giro di una settimana presi un autobus e mi presentai al colloquio con il mio nuovo datore di lavoro, al Berkeley Hotel. Erano le sei di sera. Avevo tenuto conto dellora di punta e arrivai in anticipo, ma lui mi aveva preceduta, e quando chiesi al bureau si alz da una poltrona e mi venne incontro.
Era snello, abbastanza alto, con i capelli bianchi, un viso sottile dagli zigomi pronunciati e leggermente rosei, mentre per il resto era pallido. La spalla destra sembrava pi avanti della sinistra, come se fosse bloccata in quella posizione allo scopo di stringere mani, e questo gli dava un che di sbilenco. Aveva laria di dire: Sono una persona distinta. Di nome faceva: Sir Quentin Oliver.
Ci sedemmo a un tavolo a bere sherry. Disse: Fleur Talbot... mezza francese?.
No, Fleur solo un nome che piaceva a mia madre.
Oh, interessante... E adesso mi permetta di spiegarle di che si tratta.
La paga che offriva era dannata 1936, ed eravamo nel 1949, tempi moderni. Mercanteggiai un po e accettai il lavoro, perch prometteva unesperienza del tutto nuova.
Fleur Talbot... aveva ripetuto mentre eravamo seduti al Berkeley. per caso parente dei Talbot di Talbot Grange? Lonorevole Martin Talbot, lo conosce?.
No dissi.
Nessuna parentela. Ah, poi ci sono i Talbot delle Raffinerie Findlay. Zuccherifici. La signora una mia grande amica. Una creatura adorabile. Suo marito non la merita, se posso esprimere la mia opinione.
Lappartamento londinese di Sir Quentin Oliver era in Hallam Street, vicino a Portland Place. Rimanevo l dalle nove del mattino alle cinque e mezzo del pomeriggio; per raggiungerlo passavo davanti al palazzo della BBC, dove ho sempre sperato di lavorare, senza mai riuscirci.
Ogni mattina mi apriva la porta la signora Tims, la governante. Il primo giorno Sir Quentin me la present come Beryl, gi signora Tims, che lei subito, con accento altolocato, corresse in Beryl Tims; e mentre io me ne stavo l con il cappotto indosso, ebbero il seguente battibecco: Sir Quentin sosteneva compitamente che lei, prima di divorziare, era la signora Tims, e adesso, a rigor di termini, era la ex signora Tims, ma mai, in nessun caso, la signora Beryl Tims. La signora Tims ribatt che poteva mostrargli la carta didentit, il libretto della mutua e la tessera del razionamento, e provare cos che il suo nome era proprio signora Beryl Tims. Sir Quentin sostenne che gli impiegati ministeriali che emettevano quei documenti erano male informati. Pi tardi, disse, le avrebbe mostrato in uno dei suoi galatei quali erano gli appellativi corretti. Poi si rivolse a me.