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Sofia taking a break on the grip truck while filming The Bling Ring. Los Angeles, 2012.
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Sofia sampling Sofia Champagne on the set of Marie Antoinette. Paris, 2005.
Il Giardino di Sofia
ALICE ROHRWACHER
Un giardino il luogo misterioso dove molte storie hanno inizio. Forse, ancor pi di un giardino, la memoria di un giardino in cui non possiamo tornare ci che ci spinge a raccontare.
Il rigoglioso giardino dellEden, il giardino selvaggio delle Esperidi, gli stupefacenti giardini pensili di Babilonia.... Oh, se potessimo entrarci! Oh, se potessimo stenderci allombra dei loro alberi, cogliere quei frutti, odorare quei fiori! Eppure, ne siamo stati esclusi. Sono ormai luoghi mitologici, pietre di paragone della nostra vita, nostalgia incolmabile e suadente di un altrove.
Tra tutti i giardini, per me che sono nata negli anni ottanta, ce ne uno che i nostri antenati ancora non conoscevano, ma uno dei primi che mi appare quando chiudo gli occhi. il giardino di una villetta americana.
Si accede dalla porta sul retro, una porta chiara, luminosa. Abbraccia tutta la casa e la protegge, oltre le sue siepi si ripetono altri giardini allinfinito, come onde del mare. L erano ambientati gran parte dei film e delle serie che vedevamo. Era un luogo dei sogni, in cui sbocciavano amori, si costruivano case sugli alberi, si accendevano i primi baci, il luogo in cui gli amati ancora si arrampicavano di notte dalle finestre e i figli a turno dovevano tagliare lerba. Io che crescevo tra campi brulli pieni di spine, tra paesi invasi dal cemento, sognavo quellerba soffice, quelle storie avventurose come la cosa pi deliziosa del mondo. E mi struggevo al pensiero che la mia casa era sbattuta ai venti, non era protetta da un giardino, e in pi non aveva nessuna porta chiara sul retro.
Ma anche da questo giardino, dolce memoria dinfanzia, sono stata cacciata. La maga che mi ha svelato il suo mistero etereo e spietato una delle pi grandi registe che conosco, Sofia Coppola. Ricordo bene il giorno in cui, sul limite del millennio che stava per finire, sono andata a vedere il giardino delle Vergini Suicide. Quel giorno il mio sguardo si trasformato. Sofia, come una Calipso dei nostri giorni, tesse una gabbia dorata, una bellissima prigione assolata da cui si pu uscire solo attraverso la porta pi buia e segreta, quella della morte.
Da allora ho sempre rincorso i suoi film come si rincorre un rito arcano, cercando le sue storie come si cercano le formule magiche per aprire nuove porte dellanima.
Il suo sguardo fiorito e ironico, quanto spietato e affilato come una lama, mi ha accompagnato e trasformato. Il suo cinema per me come lisola di Ogigia in cui abitava la dea Calipso: sempre da qualche parte.
Da qualche parte, sarebbe a dire in un luogo che tutti conosciamo ma non possiamo tracciare con sicurezza sulla mappa. Spesso sentiamo di riconoscerlo, ma mai fino in fondo. un luogo dellanima. E verso questo da qualche parte si muovono i suoi personaggi, che non sanno bene dove andare perch quello che importa lo stare, che accolgono il loro destino come un vecchio amico ubriaco, con gioia mista a rassegnazione. Che siano diafane adolescenti spiate dalle finestre della memoria, che siano ragazzine perdute in un albergo che assomiglia a tutti gli alberghi del mondo, o uomini soli in cerca di una cura, che siano donne rese insolenti dalla solitudine o adolescenti bizzarre, su tutti piombato addosso un destino senza che loro potessero farci niente. E nei suoi film Sofia traccia leducazione di unanima, leducazione di unattenzione, affinch anche un piccolo gesto possa produrre una eco poderosa. Si entra in un film di Sofia proprio come si entra in un giardino: allinizio si frastornati dai colori delle foglie, dei fiori, dai profumi e dai canti degli uccelli, ed bello stare l. Ci viene voglia di esplorare i viottoli segreti, di giocare con lacqua di una fontana. Ma dopo poco lo sguardo viene condotto su un unico piccolo insetto che succhia il nettare di un unico fiore. E come dincanto sparisce il giardino, sparisce labbondanza, per trovarsi di fronte a qualcosa di piccolo ed essenziale. Penso ad una delle mie scene preferite di Lost in Translation, la scena in cui Bob e Charlotte finiscono a letto non per fare lamore, ma per parlare. Si raccontano il passato, il futuro, sogni e aspirazioni. E alla fine, tutto il loro intenso quanto vago rapporto si riassume in quel piccolo gesto con cui Bob sfiora il piede di Charlotte, e che racchiude in s con precisione tutto lamore non visto, le parole non dette.
Ecco, i personaggi di Sofia sanno tutti che non si finisce mai di crescere, e che crescere sempre un mistero, un baratro che attrae e respinge. E che per crescere c sempre qualcosa a cui dobbiamo rinunciare, lisola di Ogigia che dobbiamo, marinai nellalba, abbandonare.
I personaggi di suoi film continuano ad accompagnarmi nel mio viaggio e sembrano guardarmi negli occhi e dirmi non c niente che possiamo fare, andata cos, mentre sorridono e piano piano scompaiono portandosi nel buio il loro segreto.
Mentre penso ai suoi film, ai suoi personaggi, penso a una discesa, vertiginosa. Una scalinata che si scende di corsa, col cuore in subbuglio, tra il riso e il pianto, verso il mare.
Sofia and Somewhere production designer Anne Ross. Chateau Marmont, Los Angeles, 2009.
Sofias Garden
ALICE ROHRWACHER
A garden is a mysterious place, where many stories have their beginnings. Perhaps, even more than a garden, it is the memory of a garden we cannot return to that compels us to tell a story.
The verdant Garden of Eden, the wild Garden of the Hesperides, the stunning Hanging Gardens of Babylon.... If we could only enter them! Oh, to lie in the shade of their trees, pick those fruits, smell those flowers! And yet, we have been excluded from them. They are now mythological places, touchstones of our lives, the unbridgeable and persuasive nostalgia for an elsewhere.
Of all the gardens, there is one that our ancestors werent aware of but is the first one I see, as someone born in the 1980s, when I close my eyes. It is the garden of a small American home.
It is accessed via the back door, a bright, light-colored door. It embraces the whole home and protects it; beyond its hedgerows are other gardens, repeated, stretching out infinitely like waves in the sea. This is where a large part of the films and series we watched were set. It was a place of dreams, where love blossomed, treehouses were built, first kisses were experienced, a place where lovers still climbed from windows at night and children took turns cutting the grass. Growing up among barren fields, overgrown with thorns, among villages invaded by cement, I would dream of that soft grass, those adventurous tales, as if they were the most delicious thing in the world. I was tormented by the thought that my house was beaten by the winds, unprotected by a garden and, whats more, lacked a bright back door.