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gabriel garcia marquez - Memoria delle mie puttane tristi

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gabriel garcia marquez Memoria delle mie puttane tristi
  • Book:
    Memoria delle mie puttane tristi
  • Author:
  • Genre:
  • Year:
    2011
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Memoria delle mie puttane tristi: summary, description and annotation

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Gabriel Garcia Mrquez MEMORIA DELLE MIE PUTTANE TRISTI Traduzione di Angelo - photo 1

Gabriel Garcia Mrquez

MEMORIA DELLE MIE PUTTANE TRISTI

Traduzione di Angelo Morino

MONDADORI

Memoria delle mie puttane tristi

www.librimondadori.it

Gabriel Garcia Mrquez

Arnoldo Mondadori Editore S.p.A Milano

Titolo dell'opera originale:

Memoria de mis putas tristes

I edizione gennaio 2005

II edizione gennaio 2005

"Scherzi di cattivo gusto non bisogna farne; non sta bene neppure infilare le dita nella bocca delle ragazze che dormono" raccomand la donna della locanda al vecchio Eguchi."

YASUNARI KAWABATA.

La casa delle belle addormentate

L'anno dei miei novant'anni decisi di regalarmi una notte d'amore folle con un'adolescente vergine. Mi ricordai di Rosa Cabarcas, la proprietaria di una casa clandestina che era solita avvertire i suoi buoni clienti quando aveva una novit disponibile. Non avevo mai ceduto a questa n ad altre delle sue molte tentazioni oscene, ma lei non credeva nella purezza dei miei principi. Anche la morale una questione di tempo, diceva, con un sorriso maligno, te ne accorgerai. Era un po' pi giovane di me, e non avevo sue notizie da cos tanti anni che poteva benissimo essere morta. Ma al primo squillo riconobbi la voce al telefono, e le sparai senza preamboli:

"Oggi s."

Lei sospir: Ah, mio triste professore, scompari per vent'anni e torni solo per chiedere l'impossibile. Subito dopo riacquist il dominio della sua arte e mi offr una mezza dozzina di scelte allettanti, ma, questo s, tutte usate. Insistetti che no, che doveva essere pulzella e per quella stessa notte. Lei domand allarmata: Cos' che vuoi provare a te stesso?

Niente, le risposi, ferito nel punto che pi mi doleva, so benissimo quello che posso e quello che non posso fare. Lei disse impassibile che i grandi professori sanno tutto, ma non tutto: gli unici Vergini che ormai rimangono nel mondo siete voi nati in agosto. Perch non mi hai dato l'incarico con maggiore anticipo?

L'ispirazione non d preavvisi, le dissi. Ma forse aspetta, disse lei, sempre pi scaltra di qualsiasi uomo, e mi chiese un minimo di due giorni per vagliare bene il mercato. Io le replicai serio che in un affare come quello, alla mia et, ogni ora un anno. Allora non si pu, disse lei senza un'ombra di dubbio, ma non importa, cos pi emozionante, cazzo, ti chiamo fra un'ora.

Io non ho bisogno di dirlo, perch lo si nota a leghe di distanza: sono brutto, timido e anacronistico. Ma a forza di non volerlo essere sono riuscito a fingere tutto il contrario.

Fino a questo giorno presente, in cui decido di raccontarmi come sono per mia stessa e libera volont, anche solo per sgravarmi la coscienza. Ho cominciato con la telefonata insolita a Rosa Cabarcas, perch, considerato in prospettiva, quello fu il principio di una nuova vita a un'et in cui la maggior parte dei mortali morta.

Abito in una casa coloniale sul marciapiede esposto al sole del parco di San Nicols, dove ho passato tutti i giorni della mia vita senza moglie n fortuna, dove hanno vissuto e sono morti i miei genitori, e dove mi sono proposto di morire solo, nello stesso letto in cui sono nato e in un giorno che mi auguro lontano e senza dolore. Mio padre la compr a un'asta pubblica verso la fine del XIX secolo, affitt il pianterreno per negozi di lusso a un consorzio di italiani, e si riserv questo secondo piano per vivere felice con la figlia di uno di loro, Florina de Dios Cargamantos, interprete ragguardevole di Mozart, poliglotta e garibaldina, e la donna pi bella e di maggior talento che ci fu mai in citt: mia madre.

Gli interni sono ampi e luminosi, con archi di stucco e pavimenti a scacchiera di piastrelle fiorentine, e quattro porte a vetri su un balcone coperto dove mia madre si sedeva nelle sere di marzo a cantare arie d'amore con le sue cugine italiane. Di l si vede il parco di San Nicols con la cattedrale e la statua di Cristoforo Colombo, e pi in l i magazzini del porto fluviale e il vasto orizzonte del Rio Grande della Magdalena a venti leghe dal suo estuario. L'unica cosa brutta della casa che il sole passa da una finestra all'altra nell'arco della giornata, e bisogna chiuderle tutte per cercare di fare la siesta nella penombra ardente. Quando rimasi solo, a trentadue anni, mi trasferii in quella che era stata l'alcova dei miei genitori, aprii una porta di comunicazione con la biblioteca e, per vivere, iniziai a vendere all'asta tutto quello che mi avanzava e che fin per essere quasi tutto, tranne i libri e la pianola a pedali.

Per quarant'anni i sono stato il rimpolpatore di dispacci del "Diario de la Paz", che consisteva nel ricostruire e completare in prosa indigena le notizie dal mondo che acchiappavamo al volo nello spazio siderale attraverso le onde corte o l'alfabeto Morse.

Oggi mi mantengo bene o male con la mia pensione di quel mestiere estinto; mi mantengo di meno con quella di professore di grammatica spagnola e latino, quasi niente con l'articoletto domenicale che ho scritto senza strepiti per oltre mezzo secolo, e niente di niente con i pezzi di cronaca musicale e teatrale che mi fanno il favore di pubblicare quando arrivano interpreti di rilievo. Non ho mai fatto nulla di diverso dallo scrivere, ma non ho la vocazione n le virt del narratore, ignoro del tutto le leggi della composizione drammatica, e se mi sono imbarcato in questa impresa perch confido nei lumi di tutto quanto ho letto durante la mia vita. In parole nude e crude, sono un individuo senza merito n spicco, che non avrebbe nulla da lasciare ai suoi sopravvissuti se non fosse per gli eventi che mi accingo a riferire come posso in queste memorie del mio grande amore.

Il giorno dei miei novant'anni si era levato, come sempre, alle cinque del mattino. Il mio unico impegno, essendo venerd, era scrivere l'articoletto firmato che esce la domenica sul "Diario de la Paz". I sintomi dell'alba erano stati perfetti per non essere felice: mi facevano male le ossa gi di buon'ora, mi bruciava il culo, e c'erano tuoni di temporale dopo tre mesi di siccit. Mi lavai mentre saliva il caff, ne bevvi un tazzone addolcito con miele di api e accompagnato da due pagnottelle di cassava, e mi infilai la tuta per stare in casa.

L'argomento dell'articolo di quel giorno, guarda un po', erano i miei novant'anni.

Non ho mai pensato all'et come a una perdita nel soffitto che indica la quantit di vita rimanente. Da molto piccolo avevo sentito dire che quando una persona muore i pidocchi annidati fra i capelli scappano via impauriti sui guanciali con gran vergogna della famiglia. La qual cosa mi impression tanto, che mi lasciai rapare a zero per andare a scuola, e i pochi cernecchi che mi rimangono me li lavo ancora col sapone medicinale. Significa, mi dico adesso, che da molto piccolo mi sono formato meglio il senso del pudore sociale che quello della morte.

Da mesi avevo programmato che il mio articolo di compleanno non fosse il solito piagnisteo sugli anni trascorsi, ma tutto il contrario: una glorificazione della vecchiaia.

Cominciai a domandarmi quando avevo preso coscienza di essere vecchio e credo che sia stato pochissimo tempo prima di quel giorno. A quarantadue anni mi ero recato dal medico con un dolore alla schiena che mi disturbava nel respirare. Lui non vi attribu importanza: un dolore naturale alla sua et, mi disse.

"In questo caso" gli dissi io, " la mia et a non essere naturale."

Il medico mi fece un sorriso dispiaciuto.

Vedo che lei un filosofo, mi disse. Fu la prima volta che pensai alla mia et in termini di vecchiaia, ma non ci misi molto a dimenticarmene. Presi l'abitudine a svegliarmi ogni giorno con un dolore diverso che cambiava posto e forma a mano a mano che passavano gli anni. A volte sembrava fosse un'artigliata della morte e il giorno dopo svaniva. In quel periodo sentii dire che il primo sintomo della vecchiaia che si comincia ad assomigliare al proprio padre. Devo essere condannato alla giovent eterna, pensai allora, perch il mio profilo equino non assomiglier mai a quello caraibico verace che stato di mio padre, n a quello romano imperiale di mia madre. Il fatto che i primi cambiamenti sono cos tardi che si notano appena, e si continua a vedersi dentro come si era sempre stati, ma gli altri se ne accorgono da fuori.

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