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Salvatore Satta - Il mistero del processo

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Salvatore Satta Il mistero del processo

Il mistero del processo: summary, description and annotation

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Il mistero del processo; La vita della legge e la sentenza del giudice; La tutela del diritto nel processo; Il formalismo nel processo; Il diritto, questo sconosciuto. I titoli dei saggi qui raccolti, scritti da Satta fra il 1949 e il 1958, basteranno a far immaginare quanto sia scottante la materia, specialmente oggi che la realt giudiziaria entrata a forza nella vita di tutti in Italia. Inoltre, in questi saggi Satta sembra aver voluto esporre le conseguenze ultime della sua visione del diritto, spingendosi fino al punto dove la nozione di giudizio nel processo viene a sfiorare quella del Giudizio ultimo, che sar poi dominante nel grande romanzo che ci ha lasciato. E articolando il suo pensiero, amaro e lucidissimo, sulla base di un duro sottinteso: che esiste una vera e propria vocazione del nostro tempo a vivere senza il diritto. Il libro si apre in medias res, con il racconto di una scena terribile che si svolge davanti al tribunale rivoluzionario, nel 1792. La folla preme per farsi giustizia da s. I magistrati intervengono per fermarla. Intimano di rispettare la legge e laccusato che sotto la sua spada. In questa scena gi tutto il mistero del processo. Mistero perenne, che ha trovato in Satta uno dei suoi interpreti pi alti.

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IL MISTERO DEL PROCESSO Narrano le storie che il 2 settembre 1792 mentre il - photo 1
IL MISTERO DEL PROCESSO

Narrano le storie che il 2 settembre 1792, mentre il tribunalerivoluzionario, da pochi giorni costituito (aveva al suo attivo soltanto tre teste),giudicava il maggiore Bachmann, della guardia svizzera del re, un rumore sordo elontano invase la grande sala delle udienze, che prendeva il nome di san Luigi.

Chiamata a raccolta da radi colpi di cannone quel cannone chenella fantasia del poeta doveva un secolo dopo diventare ammonitore , una follaimmensa, la folla di tutte le rivoluzioni, emergeva dai bassifondi e si riversavasulle rive e sui ponti della Senna. Erano le tre del pomeriggio, e la giornata eralimpida e calda. Impassibili, i giudici si apprestano a interrogare alcuni soldatisvizzeri, arrestati anchessi del 10 agosto, che dalle carceri rigurgitanti sonostati condotti per rendere testimonianza contro il loro capo. Verso le quattro emezza, il rumore si fa pi vicino e insistente, sembra quasi salire dallo stessopalazzo. Un usciere del tribunale le cronache ne hanno conservato il nome siaffaccia ad una finestra, sul cortile degli uomini delle carceri sottostanti, ed unaspaventosa visione si offre ai suoi sguardi. Unorda disanculotti, eccitati da qualche mestatore, aveva forzato i cancelli, e armata discuri, di pugnali, di picche, trascinava quanti prigionieri trovava in mezzo alcortile, davanti ad un improvvisato tribunale del popolo, e l ne faceva orribilescempio. Come i disgraziati, in preda al terrore, si erano rifugiati dentro lecelle, e l si erano barricati, rompono le porte, e colpendo ciecamente efuriosamente li abbattono luno sullaltro, misero ammasso di carni sanguinolente.N le lotte, n gli urli, n i singhiozzi, n gli appelli disperati, n il rumoredei colpi e delle porte divelte, le teste schiacciate, i petti squarciati, il sangueche scorre a rivi, lorrore, che da questa arena di massacro monta, con lodoredella carneficina, verso le finestre, nulla interrompe o ritarda ludienza che sisvolge davanti al tribunale, nella sala denominata da san Luigi.

Dimprovviso, tra la folla imbestialita corre la voce che glisvizzeri del re sono nella sala delle udienze. Con urla immani balzano su per lescale, attraversano stanze e vestiboli, venerabili per antichi ricordi, e appaionosulla soglia, i cenci e le armi grondanti di sangue. Lo spavento tale, che glisvizzeri si gettano a terra, strisciando sotto le panche per sfuggire allacaccia.

Laccusato Bachmann, solo, poich sicuro di morire, che sia perfatto dei giudici o per fatto di questi assassini, discende dalla poltrona ove datrentasei ore seduto, e si presenta alla sbarra come per dire: uccidetemi. Avvenneun fatto mirabile. Il presidente Lavau ferma dun gesto gli invasori: con pocheenergiche parole intima di rispettare la legge e laccusato che sotto la suaspada. Si vedono allora i massacratori, in silenzio, ripiegare docilmente verso laporta. Essi hanno compreso commenta Lenotre, Le Tribunalrvolutionnaire, Perrin, Paris, 1947, p. 52, dal quale raccogliamolepisodio che lopera che essi compiono l in basso, le maniche rivoltate e lapicca tra le mani, questi borghesi in mantello nero e cappello a piuma laperfezionano (la parachvent) sui loro seggi.

La triste vicenda si offre come un mistero doloroso allacontemplazione del giurista. vicenda di ieri; ma anche la vicenda di oggi, sarla vicenda di domani, poich certo non ci si pu illudere che il fragile articolodella nuova Costituzione che vieta di istituire tribunali o giudici straordinariimpegni la storia e valga a mutarne il corso sanguinoso. Queste promesse che gliuomini, paurosi luno dellaltro, si scambiano in una carta pi o meno solenne sonocome le promesse di eterna fedelt nellamore: valgono finch valgono, rebus sic stantibus, finch la natura, la passione, la follianon prendono il sopravvento. Ma nellepisodio che abbiamo narrato, e nelle parolecon le quali lo storico lo commenta, il dramma ha quasi la fissit di una favola,lazione come fermata nel cerchio di una lanterna magica,o, se vogliamo mantenere il senso religioso di orrore, nel quadro di una via crucis.

Due gruppi di uomini stanno luno di fronte allaltro, nella salaSan Luigi. Di uno di essi, quello sulla soglia, non si pu nutrire alcun dubbio:sono degli assassini. Hanno le mani arrossate di sangue, i cenci lordi di sangue,sangue chiedono ancora con gli occhi fissi sui poveri prigionieri di l dallesbarre. Ma laltro, gli altri uomini? Se si interroga luomo della strada nonesiter a dire che anchessi sono degli assassini: e del resto come tali li indicalo spirito popolare, quando muta il nome di Palais de Justicein quello di Palais o lon condamne. E sono degli assassiniperch sono le stesse persone, distinte appena da un mantello nero e da un cappellopiumato: e se dicono laccusato sotto la spada della giustizia essi voglionodire soltanto, e sono subito intesi, lasciatelo stare, ci pensiamo noi adammazzarlo. Sulla sostanza delle cose, che non poi se non la valutazione morale,sarebbe vano discutere. Eppure il giurista, che contempli con puro occhio digiurista lorribile scena, sente che la valutazione morale non basta a penetrarnelessenza, e una folla di domande preme contro il suo spirito riluttante, quasidirei contro la sua stessa coscienza.

Se gli uni e gli altri sono degli assassini, perch questi, chepotrebbero impunemente uccidere con lazione diretta, uccidono attraverso unprocesso? Ma questo veramente un processo? E se un processo, che cosa alloralaltro processo, quello al quale pensiamo quando parliamo di giustizia e didiritto? E, in definitiva, che cosa il processo? Domande alle quali forse impossibile rispondere, ma alle quali una risposta bisogna pur dare, se non vogliamoconcludere la nostra vita di studiosi con lamara impressione di aver perduto ilnostro tempo intorno ad un vano fantasma, a unombra che abbiamo trattato come unacosa salda.

Difficile rispondere: difficile persino tracciarsi una linea logicaper giungere alla risposta.

Ma vediamo. Questa gente vuole uccidere attraverso un processo.Quale sia il motivo contingente e occasionale per cui preferisca alluccisionediretta il processo ci possiamo dispensare dallintendere: lesperienza moderna disiffatto genere di cose ci avverte che linteresse che determina latroce opzionenon riconducibile a princpi o categorie: manet alta menterepostum. Ma quel che importa che vuole uccidere attraverso unprocesso: dunque vuole un processo, vuole il processo.

Ora, questo fatto mi pare di una importanza capitale, chenaturalmente sfugge a coloro che vogliono uccidere attraverso il processo: elimportanza sta in ci, che il processo un atto essenzialmente e per definizioneantirivoluzionario, un momento eterno dello spirito, e chifa la rivoluzione non pu volerlo senza in qualche modo negare se stesso. Danton,forse, lo sentiva e lo esprimeva in termini brutali, quando, nel processo del re,per trascinare i dubbiosi, i non rivoluzionari, e aggiogarli al carro sanguinosodella rivoluzione, gridava dalla tribuna: noi non vogliamo giudicare il re, vogliamoammazzarlo.

Fermiamo questo primo dato: vedremo in seguito come lacontraddizione si componga nel pensiero e nellatto rivoluzionario. Prima perbisogna presentarsi due obiezioni quasi antitetiche luna allaltra, che, sericonosciute valide, ne infirmerebbero la consistenza.

Si potrebbe infatti osservare che il carattere antirivoluzionario,il momento eterno, come sopra abbiamo detto, non specifico del processo, ma siritrova gi nella legge che precede il processo. E in realt, vi qui un aspetto divero, perch la legge, in s e per s considerata, non compatibile con lattorivoluzionario; anche chi vuole una legge, nega la rivoluzione. Ma se si penetra afondo lo sguardo non si stenta a vedere che la verit pi apparente che reale oalmeno pi formale che sostanziale: perch essa si riferisce non gi alla legge comecontenuto, ma alla legge come forma, come strumento. Il contenuto della legge sempre un comando: e il comando per definizione un atto arbitrario, un atto dionnipotenza e come tale non pu non essere rivoluzionario rispetto a un attoanteriore, a un ordine anteriore. Come tale anche si sottrae ad ogni critica che nonsia quella politica o morale, perch la critica sotto il profilo giuridicoappartiene, se del caso, ad un momento precedente, a quello dellusurpazione delpotere, del sovvertimento delle forme imposte da un dato ordinamento per costituirela legge.

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