Vorrei che questo libro venisse letto con la stessa idea che ne ha guidato la composizione: come un soliloquio autobiografico di Octavio Paz, e non come il lavoro di un ricercatore. Ho voluto escludere le note, le bibliografie, gli apparati tecnici che sono serviti per la preparazione, la selezione e il montaggio di queste pagine, e lho fatto per due ragioni: la prima che disturbano il lettore e tolgono godibilit al testo; la seconda che nellambito degli specialisti si dispone gi di tutto quanto necessario per il gioco delle verifiche date e riferimenti e dettagli utili per un piacere daltro tipo. Ove si eccettuino la ripartizione in capitoli e la presente nota, non c nulla in questo libro, dalla prima riga allultima, che non provenga dalle opere di Octavio Paz.
J.H.
UNO. 1914-1928
Il mio primo ricordo. Che et potevo avere? Non so, tre o quattro anni, forse.
Vago tra le immagini di un occhio
senza memoria. Sono una di quelle immagini. []
Sto dentro locchio: il pozzo
dove fin dal principio un bimbo
sta cadendo, il pozzo dove conto
quanto dura il cadere dal principio,
il pozzo in cui si conta il mio racconto
da dove lacqua sale e scende
la mia ombra.
Mi vedo, o per meglio dire: vedo una figura indistinta, una sagoma infantile sperduta su un immenso divano circolare dalla seta logora, posto proprio al centro della stanza. Con una certa inflessibilit, la luce cade da un alto finestrone. Devono essere le cinque del pomeriggio perch la luce non molto intensa. La carta da parati di un giallo sbiadito a motivi di ghirlande, tralci, fiori, frutti: emblemi del tedio. Tutto reale, troppo reale; tutto indifferente, chiuso in se stesso. Una porta si apre verso la sala da pranzo, laltra verso il salone, la terza, laterale e vetrata, d sul terrazzo. Tutte e tre sono aperte. La stanza fungeva da disimpegno alla sala da pranzo. Rumori di risate, voci, tintinnio di stoviglie. un giorno di festa e si sta festeggiando un onomastico o un compleanno. I miei cugini e le mie cugine, pi grandi, saltano sul terrazzo. Davanti alla sagoma abbandonata c un andirivieni di gente che non si ferma mai. Il bambino piange. Piange da chiss quanto tempo e nessuno lo sente. Lui il solo a udire il proprio pianto. Si perso in un mondo che familiare e remoto al tempo stesso, intimo e indifferente. Non un mondo ostile: un mondo estraneo, per quanto familiare e quotidiano, come le ghirlande del muro impassibile, come le risate in sala da pranzo. Istante interminabile, sentirsi piangere in mezzo alla sordit universale Non ricordo altro. Di certo mia madre mi calm: la donna la porta di riconciliazione con il mondo. Ma quella sensazione non si cancellata e non si canceller. Non una ferita, un vuoto. Quando penso a me stesso, lo tocco; palpandomi, lo palpo. Sempre estraneo e sempre presente, quel vuoto non mi abbandona mai, presenza senza corpo, muto e invisibile, perpetuo testimone della mia vita. Non mi parla eppure, a volte, io sento quello che il suo silenzio mi vuol dire: quel pomeriggio hai cominciato a essere te stesso; scoprendo me, hai scoperto la tua stessa assenza, il tuo vuoto: hai scoperto chi sei. Ora lo sai: sei mancanza e ricerca.
Bambino tra adulti taciturni
e le loro fanciullaggini terribili,
bambino per corridoi di porte altissime,
dentro stanze piene di ritratti,
crepuscolari confraternite di assenti,
bambino sopravvissuto
agli specchi privi di memoria
e al loro popolo di vento:
il tempo e le sue incarnazioni
risolto in simulacri di riflessi.
Nella mia casa i morti erano pi dei vivi.
Vengo da una tipica famiglia messicana. Sono nato a Citt del Messico, ma da bambino vivevo poco fuori della capitale, a Mixcoac. Dalla parte di mio padre, la mia famiglia molto antica il cognome Paz presente nel paese sin dal Cinquecento, subito dopo la Conquista e originaria dello stato di Jalisco. Il mio nonno paterno era un messicano dagli accentuati tratti indigeni. I nonni materni invece erano andalusi e mia madre era nata in Messico. Quindi la mia famiglia per una parte europea, per una parte indigena. Una famiglia meticcia: mio padre era messicano e mia madre spagnola.
Ma mi affascinava anche laltro ramo da cui discendo. Per parte dei nonni materni vengo da Puerto de Santa Mara e da Medina-Sidonia, in Andalusia. Quando, gi adulto, andai a Jerez e a Cadice, mi parve di tornare alla mia infanzia. Avevo due zie, una di Cadice e laltra di Jerez, che si chiamavano Angustias e Salud; le loro contraddittorie influenze salvaguardavano lequilibrio psichico della famiglia. La linea paterna della mia famiglia era non solo liberale, ma anche indigenista: doppiamente antispagnola. Mia madre, che detestava le discussioni, rispondeva alle polemiche con un sorriso. Io trovavo sublime il suo silenzio, molto pi efficace di una tediosa requisitoria. Mia madre formica previdente ma formica capace di cantare come una cicala mi diceva sempre: cerca di essere modesto, non umile. Lumilt dei santi; la modestia, della gente ben nata.
Mia madre, bambina di mille anni,
madre del mondo, orfana di me,
dedita, feroce, ottusa, previdente,
cardellina, cagna, formica, cinghialessa,
lettera damore piena derrori di grammatica,
mia madre: pane che io tagliavo
col suo stesso coltello tutti i giorni.
Don Ireneo, il mio nonno paterno, era stato un noto giornalista e scrittore. Aveva combattuto contro lintervento francese ed era stato sostenitore di Porfirio Daz, sebbene verso la fine si fosse opposto al vecchio dittatore. Lui fu la figura maschile che influ maggiormente sulla mia infanzia. Fu mio nonno a insegnarmi
a sorridere nella caduta
e a ripetere nei disastri: al hecho, pecho.
Aveva diretto un giornale, La Patria, e aveva scritto diversi romanzi molto letti. Per un periodo vivemmo addirittura delle vendite di un suo libro, un best seller per lepoca. Amava i libri e aveva messo insieme una biblioteca ragguardevole. Fin da bambino io leggevo gli autori messicani. In famiglia i nostri scrittori nazionali non solo erano visti con rispetto e con simpatia, ma venivano addirittura esaltati, talvolta in misura eccessiva, quelli dellOttocento, soprattutto quelli di credo liberale. La ragione di questa anomalia molto semplice: mio nonno aveva militato fin dalla giovent nelle file del liberalismo.
Mio padre e mio nonno erano molto diversi. Come tutte le case, anche la mia era teatro dello scontro tra generazioni (senza contare laltro, forse ancor pi profondo, tra sessi). Mio padre, pur provenendo da una famiglia borghese, prese parte alla rivoluzione messicana, fu amico e compagno del grande rivoluzionario Antonio Daz Soto y Gama. Apparteneva a un gruppo di giovani pi o meno influenzati dalle sue idee anarchiche. Questi giovani volevano andare al Nord, ai tempi della dittatura di Victoriano Huerta, perch l cerano gli eserciti pi disciplinati, quelli che effettivamente, dal punto di vista militare, determinarono il trionfo della Rivoluzione. Al Nord predominavano i