Credo che il pi grande privilegio, la pi sfacciata fortuna che deriva dal mio lavoro di giornalista sia di farmi conoscere persone straordinarie. come se avessi la possibilit di vivere non solo la mia, ma mille altre vite. E di entrare in confidenza con uomini, intellettuali e autentici geni.
Uno di questi lo psicologo e politologo Luigi De Marchi, un grande pensatore del nostro tempo di cui sono stato molto amico. Un liberale, liberista e libertario vero. Luigi non c pi: morto nel luglio del 2010. Ma le sue idee restano e continuano a vivere dentro di me, nella consapevolezza che De Marchi aveva compreso le cause vere e profonde dei nostri mali. S, lui aveva quella che amava definire la chiave doro: anzitutto, una particolare capacit empatica (che perfino Federico Fellini gli riconobbe) di entrare in sintonia con il prossimo. Ma soprattutto la virt di capire le ragioni autentiche delle dinamiche sociali, economiche, culturali e politiche che ci animano e condizionano le nostre esistenze. Meccanismi e logiche sotto cui aveva avuto lintuizione di individuare, attraverso il nuovo strumento della psicopolitica da lui elaborato, una radice unitaria: la paura della morte.
E allora proviamo ad attualizzare il pensiero di De Marchi applicandolo alla crisi economica in atto e alle sue variegate e per molti versi laceranti conseguenze sulla nostra vita individuale e sociale, pur nella consapevolezza che sia unoperazione quasi superflua, vista lattualit oggettiva del pensiero di De Marchi. Infatti, di fronte ai problemi irrisolti e apparentemente irrisolvibili del nostro tempo, lui pareva talmente avanti che, quando si voltava indietro, vedeva il futuro.
La morte delle imprese (e degli imprenditori)
Partiamo dai numeri, che sono agghiaccianti. Nellanagrafe delle imprese le croci sopravanzano le culle. Da gennaio a settembre 2011 sono state 8566 le aziende che hanno portato i libri in tribunale per limpossibilit di pagare fornitori e dipendenti. un aumento dell8,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2010 e unimpennata del 35,5 per cento rispetto al 2009.
LUnione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (Unioncamere) annuncia che nei primi tre mesi del 2012 sono andate perse 26.090 imprese. Il 2012 cominciato con il piede sbagliato. In salita. Meno iscrizioni e pi cessazioni di attivit: nel primo trimestre si allargata la forbice tra chi sceglie di entrare sul mercato creando una nuova attivit (120.278 tra gennaio e marzo) e chi, al contrario, ne uscito (in tutto, 146.368). Rispetto allo stesso periodo del 2011, le iscrizioni sono diminuite di 5000 unit, mentre le cessazioni sono aumentate di 12.000. Il risultato segna un saldo negativo di 26.090 imprese. Cio il triplo rispetto ai primi tre mesi del 2011, quando erano mancate allappello solo 9638 imprese.
Unimpresa su due (precisamente il 49,6 per cento) chiude i battenti entro i primi cinque anni di vita. Tasse, burocrazia, ma soprattutto la mancanza di liquidit sottolinea la Cgia di Mestre, che raggruppa artigiani e piccole imprese sono i principali ostacoli che costringono molti neoimprenditori a gettare la spugna anzitempo. vero che molte persone, soprattutto giovani, tentano la via dellautoimpresa senza avere il know how necessario, tuttavia un segnale preoccupante anche alla luce delle tragedie che si stanno consumando in questi ultimi mesi.
La Cgia rileva infine limportanza delle microimprese in chiave occupazionale: se, come sottolinea lUnione europea, il 58 per cento dei nuovi posti di lavoro creato dalle imprese con meno di venti addetti, e se, come risulta dai dati Istat, il 60 per cento dei giovani italiani neoassunti nel 2011 stato assorbito dalle microimprese con meno di dieci addetti, chiaro che, secondo la Cgia, il governo non pu non intervenire, abbassando il carico fiscale sulle imprese e in generale sul mondo del lavoro. Altrimenti sar difficile, anzi impossibile, far ripartire leconomia di questo paese.
Oggi molti imprenditori sono senza speranza. I pi anziani ricorderanno Jan Palach, che si diede fuoco nel 1969, quando la Primavera di Praga fu stroncata nel sangue con la repressione sovietica. Era un giovane studente affamato di libert e di democrazia, e prefer morire in modo atroce piuttosto che rinunciare ai suoi sogni. Cos avevano fatto pochi anni prima i monaci buddisti in Vietnam, e cos fanno oggi i monaci tibetani in segno di protesta contro la Cina.
Come loro, un uomo si dato fuoco nella ricca Bologna davanti allAgenzia delle entrate. In una struggente, drammatica, straziante lettera di addio alla moglie, ha spiegato di averlo fatto perch le tasse gli stavano bruciando la vita. Luomo, un piccolo imprenditore, morto dopo unagonia terribile, durata oltre una settimana: aveva ustioni gravissime sul 100 per cento del corpo. Sono gli effetti collaterali della crisi e delle iniziative del fisco per stanare gli evasori, ha spiegato Attilio Befera, capo dellAgenzia e del suo braccio operativo, Equitalia.
Sono decine coloro che hanno scelto il gesto estremo. Perch ci siamo ridotti in queste condizioni? C chi sostiene che a spingere gli imprenditori a farla finita sia la vergogna di non farcela, la paura di non riuscire a pagare gli stipendi dei dipendenti, lincapacit di sopportare i loro occhi pieni di preoccupazione e di speranza. Sar anche cos. Ma il sistema che abbiamo creato a essere omicida.
Lo spot di una nota banca locale vicentina recita: Perch il denaro importante, ma rimane uno strumento. Fosse vero. Mi pare che, al contrario, gli strumenti siano le persone. il raptus finale e mostruoso del sistema impazzito. Il mostro ci si ritorce contro, del tutto indifferente alle persone. Contano solo i numeri, aridi, asettici e implacabili, da affastellare in un programma, in un archivio, in una centrale rischi. Numeri in borsa. Numeri del debito sovrano. Numeri del Pil. Numeri dai quali assente la nostra vita. Numeri che possono fare a meno di noi e della nostra umanit. Nessuno ne al riparo. Luomo non conta pi niente, si pu solo autodistruggere. Nel momento del gesto estremo, le macchine non possono nulla.
La tragedia del Nordest
I numeri sono controversi e il rapporto causa-effetto difficile da accertare, ma secondo la Cgia dallinizio del 2012 ci sono stati in Italia 23 suicidi di imprenditori dovuti alla crisi economica. Sono un vero grido di allarme lanciato da chi non ce la fa pi spiega lufficio studi dellassociazione. Le tasse, la burocrazia, la stretta creditizia e i ritardi nei pagamenti hanno creato un clima ostile che penalizza chi fa impresa.
Nove dei 23 imprenditori che si sono tolti la vita vivevano nel Nordest, lex locomotiva dItalia ormai deragliata miseramente. La notizia ha valicato i confini nazionali ed finita sulla prima pagina di uno dei giornali pi letti al mondo, lInternational Herald Tribune, ledizione globale del New York Times. Il quotidiano ha ricordato i casi di alcuni imprenditori veneti che si sono tolti la vita, come il cinquantatreenne vicentino Antonio Tamiozzo e il cinquantanovenne padovano Giovanni Schiavon: Le recessione economica che ha colpito lEuropa negli ultimi tre anni ha spazzato via quelle che erano fondamenta una volta robuste, facendo salire il tasso dei suicidi a un picco allarmante. Si tratta di un fenomeno che accomuna le nazioni pi fragili, come Grecia e Irlanda: in Grecia il numero dei suicidi cresciuto del 24 per cento tra il 2007 e il 2009, in Irlanda del 16 per cento.