CLAUDIO NERI - Bio
Regista teatrale, pedagogo e bibliotecario, pisano di nascita, vanta la fortuna di avere numerosi cugini brasiliani e zii italiani che emigrarono a Belo Horizonte, cinquanta anni fa. stato direttore artistico del Teatro Verdi di San Vincenzo (Livorno). direttore Artistico del Teatro del T di Pisa e del Festival teatrale A ntroporti.
Nel suo curriculum molte regie teatrali e attivit pedagogiche in scuole toscane.
Ha diretto numerosi workshop di teatro e, recentemente, ha tenuto lezioni sulla Divina Commedia a Belo Horizonte, dove lo "zio Franco" lo guardava dal Paradiso degli artisti, probabilmente bevendo ancora cacha a e bestemmiando.
Attualmente sta curando una regia a Salvador di Bahia sulla storia dell'emigrazione italiana in Brasile, sul testo Citt di Roma di Zelia Gattai, compianta scrittrice brasiliana moglie di Jorge Amado.
2013 Giulio Perrone Editore S.r.l., Roma
I edizione Febbraio 2013
stampato presso Cimer, S.n.c., Roma
Il racconto Passerotto, contenuto nel volume L'angelo di Coppi, pubblicato
per gentile concessione della casa editrice Mondadori.
ISBN 978-88-6004-268-2
www.giulioperroneditore .it
Garrincha
Ugo Riccarelli
Scarpe e scarpini.
Conversazione con Ugo Riccarelli
a cura di Michela Monferrini
Se si pu essere prima lettori che autori della propria opera, come in un nastro riavvolto all'indietro, questo certamente il caso di Ugo Riccarelli, di una storia che inizia da un viaggio aereo verso Londra e da un quaderno che diventer il manoscritto di quel libro: Quando intrapresi quel viaggio, ero un lettore accanito, appassionato - racconta Riccarelli - e anche se avevo sempre scritto, si trattava di storie talmente personali, involute, che finivano subito chiuse in un cassetto, o direttamente nel cestino della carta. Avevo una sorta di imbarazzo o vergogna, nei confronti dell'oggetto-libro, e consideravo la letteratura un territorio quasi sacrale: non avrei mai avuto il coraggio di immaginarmi, un giorno, scrittore. Con quell'aereo andavo ad affrontare un complicato trapianto di organi, e portavo come unico salvagente un quaderno e una penna. Avevo avuto un'intuizione: avevo pensato di poter avere, laggi, la necessit di diventare una sorta di narratore di me stesso; di pormi nella posizione straniata di chi scrive per s stesso e legge s stesso. anche grazie a quell'intuizione, che mi sono salvato.
La malattia, a volte, pu diventare vantaggio, la sofferenza fa da combustibile; il dolore pu essere un elemento per certi aspetti positivo: obbliga a un rapporto schietto con s stessi, come nel caso di Garrincha.
Man nasce in un sobborgo di San Paolo, in estrema povert, e viene durante l'infanzia colpito dalla poliomelite. La sua fortuna quella di ereditare una grande tenacia da suo padre, che compra un triciclo e vi lega il figlio, bambino, per farlo pedalare e pedalare, come in una terapia personale, da poveri. Per cos che Man si rinforza, e quando riesce a calciare il pallone scopre di avere un dono, di essere quasi toccato dagli di. Allora la disgrazia si trasforma in forza: ha le gambe che arrivano alle ginocchia divergendo fortemente, in maniera improbabile, e lui riesce a sfruttare questa debolezza, questa asimmetria. La letteratura ci insegna che il senso del racconto sta nel punto di vista. Il punto di vista di chi piccolo, o di chi malato, diverso da coloro che sono da subito toccati dalla grazia e dal talento. il punto di vista che spinge al riscatto, che spinge a giocare meglio le poche carte che si sono avute in sorte.
Basti considerare Man e Pel: Pel sembra un dio greco, scolpito nel marmo; Man uno scarabocchio. Pel una persona oculata, lungimirante, che sa come gestire il suo talento e il suo futuro, un grande manager di s stesso; Man vive come un bambino, disordinato persino nei sentimenti, si innamora di una grande cantante brasiliana, Elza Soares, ma non riesce a gestire quel rapporto. Per, per un periodo, Man stato anche pi popolare di Pel, e proprio per il suo modo di incedere, per la sua finta da torero. Allora lo chiamavano Allegria del Popolo. Non era una persona poco intelligente, come pure stato detto, ma una persona semplice, istintiva, che viveva a contatto con la sua gente, tanto da regalare ci che possedeva; un animale di bosco, un garrincha appunto, un passerotto: gracile, piccolo, ingenuo, svolazzante. Un bambino, e i bambini sono autentici.
Ci sono, nella prima storia di Riccarelli, nella storia delle Scarpe appese al cuore, molti argomenti tipici di uno scrittore, con una differenza che sta proprio nell'autenticit di chi ha conosciuto una realt diversa, non dorata: un'autenticit provata, o meglio oggettiva. Che si possa scrivere per s prima che per molti, o che la scrittura abbia un potere salvifico, sono due di questi argomenti. Ritorna, tra le pagine del libro, l'immagine di un'isola che si stringe attorno al protagonista, suo unico abitante: pi gli manca ossigeno (e passano i giorni, cala la speranza e aumenta la fatica fisica), pi l'isola gli si stringe addosso, obbligandolo ad arrampicarsi sull'unica palma. Intorno, ovunque egli guardi, l'oceano. Ma c' quel salvagente, portato dall'Italia: il quaderno, la penna.
Quella dell'isoletta - spiega Riccarelli - pu sembrare una metafora, ma lo soltanto fino a un certo punto, perch il mio quaderno, da un punto di vista linguistico, era davvero, in mezzo all'oceano, un salvagente che mi permetteva di sopravvivere. Io non conoscevo l'inglese, ma i medici, le infermiere, continuavano a parlarmi della mia salute nella loro lingua. Ero su un'isola fatta di cose imprendibili, incomprensibili. Poi per, quando scrivevo sul mio quaderno, non soltanto prendevo le distanze - con ironia - da ci che stavo vivendo, e riportavo fatti, dialoghi, persone, per raccontarli a me stesso in modo nuovo ed esorcizzare la situazione, ma anche e soprattutto ritrovavo la mia lingua, mi ci aggrappavo, riscoprivo il piacere di una parola e dei suoi diversi significati, di un periodo elegante, di una costruzione non banale. Se ascoltarmi significava ascoltare qualcuno che finalmente parlasse la mia lingua, scrivere, allora, era come tornare a casa.
Emerge a questo punto un altro degli argomenti tipici degli scrittori, ed la fatica della scrittura, che qui diventa vera fatica fisica, vero sudore e vero dolore: S - risponde Riccarelli -, ho scritto in condizioni veramente estreme, fin quando mi stato possibile. Bisogna immaginare che ero bloccato a letto, intubato, sotto ossigeno e praticamente privo di forze. Ma, come ho detto, ero consapevole del fatto che scrivere avrebbe contribuito a farmi superare quel momento, e dunque pronto a trovare qualunque escamotage pur di farcela. Tra l'altro, non capendo la televisione e comunque non avendo intenzione di guardarla, ricevendo rare visite e avendo con me pochissimi libri in italiano, avevo tutto il tempo per cercare di scrivere. La stesura di una paginetta di quello che oggi il libro, pu essermi costata, in ospedale, due o tre ore. E comunque, quando non scrivevo materialmente, scrivevo nella mia testa: in quelle lunghe ore di attesa e sofferenza, in me c'era un mondo che nasceva e si componeva con ordine. Potrei dire di aver imparato a curare tanto la pulizia delle frasi proprio l, nella mente.
Che la scrittura, come il vino, abbia bisogno di tempo e riposo, Riccarelli lo ha imparato, ragazzo, da colui che considera il suo maestro, Antonio Tabucchi, al quale lo lega una storia che ha qualcosa di magico. Quando la racconta, lo scrittore-allievo mostra di non avere ancora finito di stupirsene.